VISIONE DEI COLORI

PSICOLOGIA DEI COLORI

L'intuizione di un mondo Tutto a colori

Le due principali teorie della visione dei colori emerse nel diciannovesimo secolo offrivano all’epoca idee alternative sulla natura dei meccanismi biologici, gli studi di fisiologia hanno poi hanno chiarito la complementarietà delle due teorie.

 

 

BUIO E LUCE

Durante la notte con poca luce riusciamo a percepire le forme solo come sagome grigie, poi arriva il sole del giorno ed esplode un mondo a colori.
La facilità nel riconoscerli, come la loro bellezza, dipendono dalla luce.

È Platone che per primo approccia una teoria di percezione dei colori energetica, mediando elementi oggettivi fisici ed elementi soggettivi trascendentali.

In particolare Platone si inserisce tra le scuole “immisioniste” ed “emissioniste” e le dottrine Aristoteliche. Nel primo caso è prevista l’immissione nell’occhio di qualcosa di fisico e oggettivo emanato dalle forme materiali, anche in assenza luce (Pitagora, Empedocle), nel secondo caso è l’occhio che emette qualcosa che nasce dall’anima, una forza sensoriale che percepisce soggettivamente un colore reale appartenente al corpo.

Per Aristotele la visione avviene per la presenza di luce, potenza nell’etere, un mezzo, un tramite senza interazione energetica o corpuscolare.

Platone considera l’occhio come il luogo dove l’energia interiore si amalgama con l’energia esterna: “fuoco puro” dentro di noi incontra un “fuoco diurno” simile che sta fuori di noi, e dalla fusione di questi flussi nascono i colori, la visione e la percezione dei materiali.

Platone intuisce un principio di opposizione che regola il processo di percezione e di sintesi dei colori. Il fuoco visuale è dilatato e percepito come bianco da un lato e ridotto e percepito come nero dall’altro, e i due opposti bianco e nero nascono dall’interazione del fuoco esterno (luce) con i materiali.

Il bianco e il nero sono per Platone sensazioni estreme che permettono la percezione dei dei bagliori generati dal fuoco visivo: i primi due sono chiamati splendente [lampron] e di fulgido [stilbon], in mezzo tra loro vi è un genere di fuoco intermedio, percepito come il rosso eruthron, così via per combinazioni successive si ottengono tutti i colori.

 

 

LUCE E COLORE

Dopo circa sette secoli da Platone, tra il 200 e 400 d.C. Plotino massimo esponente della scuola neoplatonica, conferma la natura energetica per il fenomeno di sintesi e percezione del colore, il fuoco di Platone prende il nome di luce, e la sua duplice esistenza sia nel mondo esteriore che interiore.

“La semplice bellezza del colore deriva da una forma che domina l’oscurità della materia e dalla presenza di una luce incorporea che è la ragione e l’idea.” 
[Plotino, Enneadi]

Per la luce dei corpi e la luce interiore Plotino usa una sola parola (fos), che purtroppo nella letteratura scolastica medievale, dalla metà del XII secolo fino a Cartesio, si sdoppia in due parole in latino, rispettivamente lumen e lux in tutte le discipline: quella scientifica, quella filosofica e quella teologica.

Comunque le opere greche giungono nel mondo islamico e sono tradotte in siriaco e in arabo, e Ibn al-Haytham, chiamato Alhazen dagli europei, alza l’asticella e sviluppa le conoscenze sulla visione dei colori.

Intuisce la natura energetica della luce, che definisce come una sorta di forza, una energia emessa dal Sole, una radiazione tanto forte da suscitare la produzione di informazioni visive provenienti dagli oggetti. Il colore è l’effetto d’una radiazione secondaria, emessa dagli oggetti colorati sollecitati da un agente primario, come la luce del Sole.

Per Ibn al-Haytham il colore e la luce stanno sempre assieme, sono fuse, mescolate, inseparabili. Il colore non si manifesta senza luce e la luce ha sempre un colore.

Ibn al-Haytham si spinge oltre l’ostacolo, e forse per primo, sperimenta la dispersione cromatica della luce con sfere piene di acqua. In tal modo vede che i raggi di luce che attraversano la sfera vengono separati secondo angoli misurabili e si rende conto che ogni raggio produce un determinato colore con una corrispondenza biunivoca.

Dopo sette secoli dalla scuola neoplatonica, nasce la dispersione della luce, che anticipa gli esperimenti di rifrazione di Snellius e Cartesio (1637), il modello ondulatorio della luce di Huygens (1678), la ruota dei colori (Newton 1704): conoscenze che sono sviluppate dopo altri sette secoli dagli gli esperimenti di Ibn al-Haytham.

 

 

COLORE E OCCHIO

Newton spinto da un nuovo vento della scienza sperimentale, studia nel dettaglio la separazione dei colori della luce (arcobaleno) tramite un prisma trasparente. Si concentra sulla fisica dei colori …

“… che nell’universo sono prodotti dalla luce, e non dipendono dal potere dell’immaginazione, sono o i colori di luci omogenee oppure composti di essi.
Isaac Newton.

Elabora il principio di sintesi dei colori intermedi all’interno dello spettro dei colori (arcobaleno): sommando luce verde alla luce rossa si ottiene una luce gialla, ma per Newton è possibile anche la mescolanza dei due colori primari estremi dell’arcobaleno, il rosso ed il violetto, che dà luogo a colori viola la cui tinta non è simile a quella di nessun colore spettrale ma che appare visivamente intermedia tra il rosso e il blu, il magenta.

Nasce la ruota dei colori e per primo considera il rosso e il viola come due colori “contigui”.

Dopo un secolo arriva un grande passo per capire il legame tra luce e visione oculare da parte di un medico Inglese, Thomas Young. All’età di 28 anni nel 1801,  presenta alla Royal Society le sue teorie sulla fisiologia del sistema visivo, e sul principio tricromatico RGB che si genera nell’occhio, intuendo i fenomeni che avvengono nella retina.

Da lì in poi sulla spinta del positivismo e delle conseguenti rivoluzioni tecnologiche e industriali si generano una quantità vastissima di studi sulla fisica della luce, colorimetria e fisiologia del colore: Hermann Grassmann (1809-1877) detta gli assiomi teoria tricromatrica,  Helmholtz (1821-1894) la verifica sperimentalmente, Maxwell (1831-1879) costruisce quantitativamente il modello matematico che descrive la natura ondulatoria elettromagnetica della luce e i principi della tricromia, Einstein nel (1905) introduce la nozione di quanto di energia e l’effetto fotoelettrico, che gli valse il premio Nobel, e riapre il secolare dibattito sulla natura della luce, e limita il campo di validità delle equazioni di Maxwel.

Nello stesso periodo Hering (1834-1918) sviluppa la teoria dell’opponenza cromatica, che all’epoca sembravano in netta opposizione con la teoria tricromatica.
Questa teoria ipotizzava che nell’occhio sono presenti tre meccanismi bipolari, che generano segnali in coppie di opposte di colori: rosso-verde, blu-giallo, bianco-nero.

Le due principali teorie della visione dei colori emerse nel diciannovesimo secolo offrivano all’epoca idee alternative sulla natura dei meccanismi biologici, gli studi di fisiologia hanno poi hanno chiarito la complementarietà delle due teorie.

La teoria tricromatrica descrive al meglio la prima fase di sensazione fisiologica, in cui il segnale luminoso elettromagnetico viene separato in tre luci tonali principali, mentre un principio di opponenza cromatica è fondamentale per comprenedere il secondo stadio del processo visivo, quello della interpretazione e percezione, che traduce e codifica i segnali provenienti dai fotorecettori attraverso processi di opposizione simultanei e reciprocamente esclusivi.

 

 

OCCHIO E CODICE

Finalmente nel 1931 sulla base dei lavori di Wright and Guilt, la CIE Comitato Internazionale sul Colore, presenta il primo spazio colori, che permette di codificare con coordinate tricromatiche (XYZ) in modo univoco l’energia elettromagnetica e la sensazione fisiologica.

Diverse osservazioni sperimentali, note come esperimenti di “hue cancellation” da parte di Jameson e Hurvich (1955-1957), hanno permesso di catapultare in avanti e di collegare il modello colorimetrico XYZ e la teoria dei colori opponenti di Hering, creando un grande filone centrale di indagine nella scienza della visione.

Nel 1976 la CIE trasforma le tre coordinate XYZ (RGB) in tre coordinate colore Lab: L asse acromatico bianco e nero, ed il piano cromatico con due assi: il primo dal rosso (+a) in opponenza con il verde (-a) e l’altro da giallo (+b) opposto al blu (-b). Questa è la codifica tutt’ora utilizzata in colorimetria per misurare i colori con strumenti artificiali.

Il codice XYZ e il codice Lab descrivono lo stesso fenomeno, il primo ha una logica di input e il secondo è guidato da una logica di misurazione dell’output, che si adatta meglio a un processo di collimazione di segnali opposti.

La trasformazione da spazio tridimensionale XYZ a uno spazio tridimensionale Lab avviene anche nel nostro sistema visivo, più precisamente nel talamo.

Il segnale tricromatico è generato nei coni presenti nella retina oculare, classificati S (alta energia – Blu), M(media energia-Verde) e L(bassa energia – Rosso). La luce porta ad una iperpolarizzazione del cono recettore, che passa da -40mV a -75mV, ed emette un segnali elettrici (modulazione di ampiezza) e biochimici.

Il segnale dei recettori è elaborato successivamente in cellule interneurone (neuroni relè on-off, denominate cellule bipolari, orizzontali e amacrine), cambia logica (modulazione di frequenza) e tramite delle cellule gangliari esce dalla retina per proseguire lungo in nervo ottico e raggiungere una regione del talamo, chiamata corpo genicolato laterale (CGL), che è una stazione centrale, una sorta di hub, delle informazioni visive provenienti dall’occhio e destinate alla corteccia striata.

Le cellule gangliare ricettive del CGL sono di due tipi: M (magnae o grandi) e P (parvae o piccole), i segnali sono divisi in due canali, dalle cellule M parte il canale acromatrco della luminosità e del movimento, mentre dalle cellule P parte il canale cromatico, i due canali hanno un principio di funzionamento per opposizione.

Il valore S positivo si combina con i valori M e L negativi, creando un segnale in scala di grigi, di luminosità. Nel canale cromatico il valore -L misurato si combina in opposizione con valori +M “calcolati” e ed il valore +L (calcolato) si combina con i valori -M misurati. I in questo modo i valori iniziali S, L e M, sono trasformati in un codice con logica Lab.

 

 

CODICE E SIGNIFICATO

Il codice prodotto nel talamo raggiunge la corteccia striata e da qui in poi il cammino è per ora oscuro, il futuro riserva ancora delle scoperte sorprendenti. In ballo c’è la natura fisica del codice che non è più solo elettromagnetica, ma serve una nuova proprietà fisica per descrivere la consapevolezza, la nostra capacità di percepire e comprendere attraverso le sensazioni.

In questi ambiti della ricerca torviamo dei recenti studi di Federico Faggin, fisico italiano e imprenditore americano, che ha raccolto la sfida lanciata da Platone nella sua “quarta vita”.

Attualmente le tecnologie fMRI (risonanza magnetica funzionale), hanno permesso ai neuroscienziati di mappare e rappresentare gli stati coscienti nel cervello, però, malgrado la familiarità che la coscienza ha per ciascuno di noi, essa rimane un grande mistero per la scienza.

“Non esiste nessun principio fisico noto che possa tradurre in sensazioni o sentimenti l’attività elettrica nel cervello o in un computer.”

Faggin ha proposto un nuovo modello di fisica, che si basa sul presupposto che la coscienza è una proprietà “irriducibile” della natura. Introduce “il concetto delle unità di consapevolezza (UC), le “componenti” fondamentali di tutto ciò che esiste: lo spazio, il tempo e i campi quantistici delle particelle fondamentali.”

“Oggettivo” e “soggettivo” devono essere due facce intrecciate e inseparabili di un tutto indivisibile fin dall’inizio. Detto diversamente, la natura della realtà ha intrinsecamente un aspetto interiore e uno esteriore che sono irriducibili, co-emergenti e co-evolventi. In questo modello, l’aspetto interiore è la realtà semantica di ciascun sé; l’aspetto esteriore è la realtà informatica o simbolica che dà origine a tutti i mondi fisici. L’evoluzione fisica dell’universo deve quindi rispecchiare in qualche modo l’evoluzione semantica dei sé, e viceversa – l’una riflette e dà supporto all’altra.
Federico Faggin, Maggio 2019

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